“Parcomania cronaca di un disastro annunciato”. Aree protette della Sicilia bruciano e gli ambientalisti fanno passerella.
Tutto il verde che c’è in Sicilia se non è già bruciato sta bruciando. Si cerca di dare delle spiegazioni, di trovare il colpevole, di trovare i responsabili a cui addossare le colpe.
Ultimamente
sento parlare di mafia del fotovoltaico: darebbero fuoco per poi impiantare i
pannelli ma… Una domanda sorge spontanea: ma se tutto ciò che è andato in fumo
o che sta bruciando si trova nei parchi regionali dei Nebrodi, delle Madonie, dell’Etna,
o nelle Riserve Naturali Orientate o nelle oasi di protezione di tutte le nove
province siciliane dove per legge non può essere fatto un impianto di pannelli
fotovoltaici che si estende per ettari, di cosa stiamo parlando?
Qualche
giorno fa uno o più delinquenti ha dato fuoco all’oasi del Simeto: un terribile
scempio. Un amico ci manda un video del sopralluogo fatto da associazioni
ambientaliste con tanto di ostentazione di bandiere e commenti dei
rappresentanti: tutti sono d’accordo sulla cattiva gestione dell’oasi facendo
capire che loro avrebbero gestito meglio.
Quindi
un pensiero al pollo sultano che era stato reintrodotto, alla moretta tabaccata
rara ma che nell’oasi aveva trovato rifugio e ai coniglietti e quindi comincia
il racconto alla Disney: gli animali si sono rifugiati sugli alberi o nei
giardini delle case adiacenti sono troppo vulnerabili bisogna impedire ai
cacciatori di cacciare!
Dimenticano
forse che pollo sultano, moretta tabaccata non sono specie cacciabili e che in
tutta quella zona la caccia è vietata!
E
continuando, insistono che spesso sentivano i cacciatori sparare: per loro uno
che spara in una zona vietata alla caccia ad un animale protetto è un
cacciatore non un bracconiere … e come se vedessimo un rapinatore entrare in
banca e lo definissimo come un cliente che fa un prelievo!
L’ente
responsabile dell’oasi del Simeto è l’ex provincia di Catania quindi non una
associazione ambientalista … ha ottenuto nel mese di marzo 1585000,00 EURO
forse è questo il problema?
Mi
viene in mente un altro incendio capitato nel 2019 alle Saline di Priolo oasi
gestita da una associazione ambientalista: come mai al direttore dell’oasi non
si chiesero spiegazioni e si tentò in tutta fretta di fargli avere prima
possibile un finanziamento dalla regione?
È
vero che questa è un’estate particolarmente calda ma gli altri anni gli incendi
hanno colpito ugualmente e spesso in modo devastante principalmente le zone
protette. Quindi è un problema cronico che dura da decenni.
Purtroppo
la verità che si vuole nascondere è un’altra e si chiama PARCOMANIA ovvero la
mummificazione dell’ambiente lasciato nel più completo abbandono pur di
permettere a pochi individui di poter attingere a un fiume di denaro pubblico
esercitando un potere smisurato sui territori soggetti a vincolo.
Potere
di veto che è gestito in maniera dispotica nei confronti di chi in
quell’ambiente ci vive, come i proprietari dei terreni, gli agricoltori, gli
allevatori e tutti quei portatori di interesse che vivono in quell’ambiente che
lo curano e ne traggono sostentamento a differenza degli ambientalisti da
salotto.
Parlavamo
di fiume di denaro pubblico uno di questi si chiama POFESR 2016-2020 Sicilia (vedi
tab.all. tab 1 e tab 2)
Se
analizzate questa tabella e i relativi finanziamenti che superano i 57 milioni
di euro di spesa, solo due progetti sono finalizzati alla difesa degli incendi
eppure se vuoi preservare l’ambiente devi prima pensare a non farlo andare in
fumo!
Gli
altri progetti li lasciamo commentare a chi legge, però uno vorremmo
commentarlo noi:
R.N.O.
Isola di Lampedusa affidata a Legambiente, finanziamento di oltre 314000,00
euro per l’ERADICAZIONE DELLA PERNICE ROSSA: per essere chiari sterminio delle
pernici tramite trappole e quindi traslocazione delle vertebre cervicali (è
brutto dire che gli tirano il collo!).
Un
momento: in effetti nel loro progetto non lo scrivono dicono che faranno
riferimento al progetto di eradicazione della Pernice Rossa approvato per
l’isola di Pianosa (protocollo di cattura/traslocazione/eradicazione
dell’ibrido Alectoris rufa/Alectoris chukar dall’Isola di Pianosa)
PROGETTO
LIFE13 NAT/IT/000471 “RESTO CON LIFE” nel punto che dice:
“5.3
Destino degli animali catturati
Gli
ibridi di pernice catturati, per scongiurare rischi di inquinamento genetico di
altre popolazioni, non potranno essere utilizzati per effettuare ripopolamenti
in altri ambiti territoriali. Parte degli animali verrà quindi trasferita
presso centri di recupero le cui strutture di detenzione dovranno garantire
l’impossibilità di fuga degli ibridi stessi. In attesa del loro trasferimento
presso tali centri, gli animali, una volta catturati, verranno trasportati in
auto con apposite cassette e sacchi di iuta, e quindi rilasciati all’interno di
un’ampia zona recintata, dotata di aree di rifugio idonee, con alberature
ombreggianti e regolarmente rifornita di acqua e cibo. Ai soggetti verranno
temporaneamente immobilizzate le remiganti primarie più esterne di un’ala
utilizzando nastro adesivo rimovibile, allo scopo di ridurre la capacità di
involo; la soluzione è preferibile rispetto alla costrizione di animali
selvatici in ambienti chiusi dove sarebbero più probabili gli impatti sulle
strutture di contenimento. Gli animali permarranno nell’area recintata per il
minimo tempo necessario sufficiente a garantire il trasferimento sulla
terraferma.
All’interno
della recinzione verrà costruita un’ulteriore piccola struttura di contenimento
che faciliterà la cattura degli ibridi al momento del loro trasferimento in
terraferma.
Gli
animali che non potranno essere ospitati presso i centri di recupero dovranno
essere soppressi tramite dislocazione delle vertebre cervicali, secondo la tecnica raccomandata
alle amministrazioni provinciali sul documento tecnico INFS n. 19, pag. 25
(Cocchi, 1996) e sempre in conformità con quanto stabilito dalla legge
394/1991.
5.4
Fase di abbattimento
Per
eventuali singoli individui che non venissero catturati con i metodi appena
descritti si valuterà l’opportunità di ricorrere all’abbattimento mediante arma
da fuoco, eventualmente con l’ausilio di cani………”
Ora
la domanda sorge spontanea: ma se alla fine si farà ricorso a personale
provvisto di cani e arma da fuoco perché non rivolgersi ai cacciatori
risparmiando 314 mila euro? E poi trasferiti sulla terra ferma? Ma se non
possono essere liberati!
La
giustificazione è che trattandosi di specie alloctona mette in pericolo le
specie esistenti e poiché non si può dare vita a degli ibridi sull’isola con la
coturnice siciliana perché quest’ultima non è presente a Lampedusa, si dichiara
che entra in competizione con la calandrella, un alaudide migratorio, quindi
non stanziale, e inoltre che la Pernice Rossa si ciba di insetti particolarmente
rari, ma soprattutto perché la sua presenza può spingere ad atti di
bracconaggio: quindi per evitare che la catturino dei bracconieri le eradicano
loro per la modica somma sopra menzionata! Siamo alla follia!
Noi
personalmente avremmo in mente una proposta molto vantaggiosa e speriamo che ci
sia la possibilità di essere ascoltati da persone di buon senso e che hanno
potere di intervenire perché la presenza della Pernice Rossa deve essere vista
come una risorsa che porta denaro e presenze all’isola di Lampedusa e non solo
sbarchi incontrollati.
Pensate
che paesi come Croazia e Serbia attirano il turismo cinofilo con prove cinofile
internazionali su starne e noi potremmo fare lo stesso con la Pernice Rossa a
Lampedusa portando turismo e denaro sull’isola.
Purtroppo
assurde leggi che non proteggono affatto l’ambiente ideate da incompetenti e
che andrebbero riviste permettono questo scempio.
Comunque
nel tentativo di documentarci e saperne di più della gestione dei parchi e
delle riserve e tutte quelle strutture facenti parte delle aree protette, ci
siamo imbattuti in diversi articoli non smentiti che forse ci daranno la
possibilità di capire la situazione è l’organizzazione delle aree protette in
Sicilia e non solo.
Ecco
alcuni stralci di un articolo che Legambiente pubblicato su Greenreport del
2016:
“Per
i parchi regionali sono evidenti alcuni nodi: la crescita esponenziale e
ingiustificata del personale, spesso non qualificato; l’assenza di
pianificazione: nessun parco dopo 15 anni dall’istituzione è dotato del piano
territoriale; il continuo commissariamento degli enti; l’assenza di vigilanza
sul territorio; l’assenza di azioni di contrasto a pratiche illegali
diffusissime: dal bracconaggio ai tagli del legname, dal fuoristradismo
all’abusivismo edilizio. Anche la stessa vicenda delle agromafie dei Nebrodi
dimostra quanta disattenzione ci sia negli altri territori per questo fenomeno
noto e diffusissimo; gestioni spesso autoreferenziali e fuori da approcci di
sistema con il resto del mondo delle aree protette; assetti organizzativi in
profondo contrasto tra di loro, basti pensare alla questione dei guardiaparco
presenti solo sui Nebrodi; la rinuncia da parte dei parchi a un ruolo critico
nei confronti della Regione per l’assenza di politiche settoriali o scelte in
danno delle aree protette” e ancora: “La legge quadro n.394 (n.d.r quella
nazionale sui parchi) non ha trovato in Sicilia né recepimento formale né ha
costituito stimolo per l’adozione di prassi o scelte progettuali costituenti
buone pratiche nei parchi nazionali.
Anzi
l’unica attuazione della legge n.394 è stata quella di produrre, con una
sentenza della Corte Costituzionale del 2014, la dichiarazione d’illegittimità
costituzionale della legge regionale in materia d’istituzione delle riserve
naturali, portando all’annullamento di quella dei Pantani della Sicilia sud
orientale, area di straordinaria importanza ornitologica a livello europeo.
Gli
organismi di gestione dei parchi regionali siciliani, in contrasto con i principi
della legge quadro nazionale, vedono la presenza dei soli rappresentanti degli
enti locali e nel 2012, su richieste dei presidenti degli enti parco siciliani,
sono state espunte le rappresentanze del mondo scientifico e di quello
ambientalista.
Ma
è sul piano della spesa e dell’organizzazione che il sistema dei parchi
regionali è insostenibile e inaccettabile, sempre più sul piano sociale.
I
4 parchi regionali (non teniamo conto del Parco dei Sicani di fatto non
operante) costano 1,2 milioni di euro per il funzionamento e la gestione e
quasi 12 milioni di euro per il personale (oltre 260 dipendenti).
I
dati configurano dei veri e propri stipendifici e si commentano da soli, anche
con riferimento a parametri oggettivi o a quelli cui s’ispira l’organizzazione
dei parchi nazionali, di gran lunga più estesi e che hanno conseguito spesso
maggiori risultati”.
Ottima
analisi fatta da Legambiente ma ci sembra che si vuol far intendere che i
parchi nazionali stanno bene. Purtroppo secondo il rapporto triennale della
Corte dei Conti 2014-2016 quasi tutti i parchi nazionali sono in perdita
nonostante il 90% delle risorse provengano dallo stato. ECONOMIA E GESTIONE DEI
PARCHI NAZIONALI IN ITALIA:
Ecco
cosa dice la Corte dei Conti:
“L’esame
dell’intero sistema degli Enti Parco evidenzia aspetti problematici, sia
nell’attuazione della Legge quadro n. 394/91, sia di carattere gestionale ed
economico-
finanziario, riguardanti in particolare:
•
la complessità delle procedure di adozione degli atti di pianificazione, che ha
comportato un’eccessiva dilatazione dei tempi di approvazione, tanto che per
molti, a distanza di oltre 26 anni dall’entrata in vigore della stessa, il
relativo procedimento è ancora in itinere;
•
l’inadeguatezza del modello organizzativo che, in quanto unico, non tiene conto
delle caratteristiche e della dimensione territoriale e demografica di ciascun
Ente; fra le fonti di finanziamento, l’assoluta prevalenza dei trasferimenti
statali, la carenza di contributi finanziari degli Enti territoriali, la sostanziale
irrilevanza delle entrate proprie;
una
situazione di deficit economico strutturale di alcuni Enti Parco che richiede
una particolare attenzione, anche da parte del Ministero vigilante”.
Sempre
nell’ottica di capirne di più abbiamo trovato per quanto riguarda la Sicilia
questo articolo del CODACONS che vi farà capire meglio di cosa stiamo parlando:
PERSONALE DELLE AREE PROTETTE TRA
FAVORITISMI, ASSUNZIONI IMPROPRIE, PRECARIETÀ E IMBOSCAMENTI
Novembre
28, 2016 articolo che trovate online e che si chiude così:
“Il
Codacons chiede con forza che venga fatta chiarezza sull’intera situazione
delle Riserve Naturali, dal loro affidamento, all’arruolamento del personale e
alle mansioni dello stesso, all’impiego delle dotazioni per le attività di
tutela al fine di recuperare lo spirito che ha guidato la loro istituzione e
abbandonare il percorso attuale che sempre più sta assumendo i connotati di una
vera e propria “espropriazione ambientalista”.
Questo
in base all’articolo il CODACONS lo chiedeva nel 2016, quindi se gli enti
parco piangono (soprattutto la popolazione) le oasi, le ZPS, Z.I.C., R.N.O. non
ridono indipendentemente da chi li gestisce: stato, regione associazioni
ambientaliste.
Nel
tentativo di avere una visione a 360 gradi, ci siamo imbattuti in un articolo pubblicato
su TP24 da un naturalista in data 07/09/2019. Ne prendiamo uno stralcio:
“(…)
La Sicilia è stata tra le prime regioni d’Italia a dotarsi di una
legge sui Parchi e sulle Riserve Naturali, legge che è stata integrata e
modificata nel lontano 1988. Tutto sommato sarebbe stata una buona legge se
attuata alla lettera e se non fosse stato per una pecca macroscopica contenuta
nell’Art. 1 della 14/88, ex Art. 3 L. r. 98/81. “Consiglio Regionale per la
Protezione del Patrimonio Naturale. Istituzione e Composizione” (CRPPN).
Il
CRPPN, massimo organo tecnico consultivo
dell’Assessore regionale all’Ambiente, ha un sacco di prerogative, tra le
quali: predisporre il piano regionale dei parchi e delle riserve naturali,
controllare per ciascuna area protetta regionale (parchi e riserve) il raggiungimento
delle finalità istituzionali e l’osservanza delle norme di legge e di
regolamento, svolgere attività di promozione e di indirizzo della politica di
gestione delle aree protette, predisporre direttive vincolanti relative alla
valutazione di impatto ambientale che deve accompagnare tutti i progetti di
opere e di manufatti da realizzarsi nei parchi e nelle riserve, valutare gli
studi d’incidenza nel caso in cui nel perimetro delle riserve vi rientrino aree
della Rete Natura 2000.
La
conoscenza e la competenza dei componenti del CRPPN in materia di salvaguardia
del patrimonio naturale rispetto ai politici hanno reso il Consiglio come una
sorta di potentato da fare invidia agli stessi politici.
Il
Consiglio, oltre che dalle note figure istituzionali, oltre che dai sette
docenti universitari delle materie attinenti alla conoscenza e alla gestione
del patrimonio naturale (spesso aderenti alle ass. ni ambientaliste che sono
nel CRPPN), oltre che dall’urbanista e dal vulcanologo, originariamente era composto
da sei esperti (oggi sono sette anche se l’ultimo arrivato non ha preso niente)
designati dalle associazioni ambientaliste: Italia Nostra, WWF Italia, C.A.I.,
Legambiente, L.I.P.U. e G.R.E. a gestione delle riserve, finanziata dalla A
alla Z dalla Regione, non esclusi gli stipendi dei dipendenti degli Enti
affidatari, è finita tutta nelle mani di chi avrebbe dovuto “controllare il
raggiungimento delle finalità istituzionali e l’osservanza delle norme di legge
e di regolamento” delle stesse riserve assegnate, cioè del CRPPN.”
Qualcuno
ha invocato l’arrivò dei Carabinieri forestali: noi anche quello della guardia
di finanza e di un pool di magistrati!
In
ogni caso le scriventi Associazioni si riservano di porre in essere le
opportune azioni presso tutte le sedi competenti al fine di individuare le
responsabilità che a diverso titolo hanno determinato il disastro ambientale
cui stiamo assistendo.
Sicilia Nostra,
Liberi Cacciatori Siciliani,
Italcaccia,
A.N.C.A.
AgriAmbiente
Catania, 12.08.2021
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