giovedì 12 agosto 2021

“Parcomania cronaca di un disastro annunciato”. Aree protette della Sicilia bruciano e gli ambientalisti fanno passerella.

Tutto il verde che c’è in Sicilia se non è già bruciato sta bruciando. Si cerca di dare delle spiegazioni, di trovare il colpevole, di trovare i responsabili a cui addossare le colpe.

Ultimamente sento parlare di mafia del fotovoltaico: darebbero fuoco per poi impiantare i pannelli ma… Una domanda sorge spontanea: ma se tutto ciò che è andato in fumo o che sta bruciando si trova nei parchi regionali dei Nebrodi, delle Madonie, dell’Etna, o nelle Riserve Naturali Orientate o nelle oasi di protezione di tutte le nove province siciliane dove per legge non può essere fatto un impianto di pannelli fotovoltaici che si estende per ettari, di cosa stiamo parlando?

Qualche giorno fa uno o più delinquenti ha dato fuoco all’oasi del Simeto: un terribile scempio. Un amico ci manda un video del sopralluogo fatto da associazioni ambientaliste con tanto di ostentazione di bandiere e commenti dei rappresentanti: tutti sono d’accordo sulla cattiva gestione dell’oasi facendo capire che loro avrebbero gestito meglio.

Quindi un pensiero al pollo sultano che era stato reintrodotto, alla moretta tabaccata rara ma che nell’oasi aveva trovato rifugio e ai coniglietti e quindi comincia il racconto alla Disney: gli animali si sono rifugiati sugli alberi o nei giardini delle case adiacenti sono troppo vulnerabili bisogna impedire ai cacciatori di cacciare!

Dimenticano forse che pollo sultano, moretta tabaccata non sono specie cacciabili e che in tutta quella zona la caccia è vietata!

E continuando, insistono che spesso sentivano i cacciatori sparare: per loro uno che spara in una zona vietata alla caccia ad un animale protetto è un cacciatore non un bracconiere … e come se vedessimo un rapinatore entrare in banca e lo definissimo come un cliente che fa un prelievo!

L’ente responsabile dell’oasi del Simeto è l’ex provincia di Catania quindi non una associazione ambientalista … ha ottenuto nel mese di marzo 1585000,00 EURO forse è questo il problema?

Mi viene in mente un altro incendio capitato nel 2019 alle Saline di Priolo oasi gestita da una associazione ambientalista: come mai al direttore dell’oasi non si chiesero spiegazioni e si tentò in tutta fretta di fargli avere prima possibile un finanziamento dalla regione?

È vero che questa è un’estate particolarmente calda ma gli altri anni gli incendi hanno colpito ugualmente e spesso in modo devastante principalmente le zone protette. Quindi è un problema cronico che dura da decenni.

Purtroppo la verità che si vuole nascondere è un’altra e si chiama PARCOMANIA ovvero la mummificazione dell’ambiente lasciato nel più completo abbandono pur di permettere a pochi individui di poter attingere a un fiume di denaro pubblico esercitando un potere smisurato sui territori soggetti a vincolo.

Potere di veto che è gestito in maniera dispotica nei confronti di chi in quell’ambiente ci vive, come i proprietari dei terreni, gli agricoltori, gli allevatori e tutti quei portatori di interesse che vivono in quell’ambiente che lo curano e ne traggono sostentamento a differenza degli ambientalisti da salotto.

Parlavamo di fiume di denaro pubblico uno di questi si chiama POFESR 2016-2020 Sicilia (vedi tab.all. tab 1 e tab 2)

 





Se analizzate questa tabella e i relativi finanziamenti che superano i 57 milioni di euro di spesa, solo due progetti sono finalizzati alla difesa degli incendi eppure se vuoi preservare l’ambiente devi prima pensare a non farlo andare in fumo!

Gli altri progetti li lasciamo commentare a chi legge, però uno vorremmo commentarlo noi:

R.N.O. Isola di Lampedusa affidata a Legambiente, finanziamento di oltre 314000,00 euro per l’ERADICAZIONE DELLA PERNICE ROSSA: per essere chiari sterminio delle pernici tramite trappole e quindi traslocazione delle vertebre cervicali (è brutto dire che gli tirano il collo!).

Un momento: in effetti nel loro progetto non lo scrivono dicono che faranno riferimento al progetto di eradicazione della Pernice Rossa approvato per l’isola di Pianosa (protocollo di cattura/traslocazione/eradicazione dell’ibrido Alectoris rufa/Alectoris chukar dall’Isola di Pianosa)

PROGETTO LIFE13 NAT/IT/000471 “RESTO CON LIFE” nel punto che dice:

5.3 Destino degli animali catturati

Gli ibridi di pernice catturati, per scongiurare rischi di inquinamento genetico di altre popolazioni, non potranno essere utilizzati per effettuare ripopolamenti in altri ambiti territoriali. Parte degli animali verrà quindi trasferita presso centri di recupero le cui strutture di detenzione dovranno garantire l’impossibilità di fuga degli ibridi stessi. In attesa del loro trasferimento presso tali centri, gli animali, una volta catturati, verranno trasportati in auto con apposite cassette e sacchi di iuta, e quindi rilasciati all’interno di un’ampia zona recintata, dotata di aree di rifugio idonee, con alberature ombreggianti e regolarmente rifornita di acqua e cibo. Ai soggetti verranno temporaneamente immobilizzate le remiganti primarie più esterne di un’ala utilizzando nastro adesivo rimovibile, allo scopo di ridurre la capacità di involo; la soluzione è preferibile rispetto alla costrizione di animali selvatici in ambienti chiusi dove sarebbero più probabili gli impatti sulle strutture di contenimento. Gli animali permarranno nell’area recintata per il minimo tempo necessario sufficiente a garantire il trasferimento sulla terraferma.

All’interno della recinzione verrà costruita un’ulteriore piccola struttura di contenimento che faciliterà la cattura degli ibridi al momento del loro trasferimento in terraferma.

Gli animali che non potranno essere ospitati presso i centri di recupero dovranno essere soppressi tramite dislocazione delle vertebre cervicali, secondo la tecnica raccomandata alle amministrazioni provinciali sul documento tecnico INFS n. 19, pag. 25 (Cocchi, 1996) e sempre in conformità con quanto stabilito dalla legge 394/1991.

5.4 Fase di abbattimento

Per eventuali singoli individui che non venissero catturati con i metodi appena descritti si valuterà l’opportunità di ricorrere all’abbattimento mediante arma da fuoco, eventualmente con l’ausilio di cani………”

Ora la domanda sorge spontanea: ma se alla fine si farà ricorso a personale provvisto di cani e arma da fuoco perché non rivolgersi ai cacciatori risparmiando 314 mila euro? E poi trasferiti sulla terra ferma? Ma se non possono essere liberati!

 

La giustificazione è che trattandosi di specie alloctona mette in pericolo le specie esistenti e poiché non si può dare vita a degli ibridi sull’isola con la coturnice siciliana perché quest’ultima non è presente a Lampedusa, si dichiara che entra in competizione con la calandrella, un alaudide migratorio, quindi non stanziale, e inoltre che la Pernice Rossa si ciba di insetti particolarmente rari, ma soprattutto perché la sua presenza può spingere ad atti di bracconaggio: quindi per evitare che la catturino dei bracconieri le eradicano loro per la modica somma sopra menzionata! Siamo alla follia!

Noi personalmente avremmo in mente una proposta molto vantaggiosa e speriamo che ci sia la possibilità di essere ascoltati da persone di buon senso e che hanno potere di intervenire perché la presenza della Pernice Rossa deve essere vista come una risorsa che porta denaro e presenze all’isola di Lampedusa e non solo sbarchi incontrollati.

Pensate che paesi come Croazia e Serbia attirano il turismo cinofilo con prove cinofile internazionali su starne e noi potremmo fare lo stesso con la Pernice Rossa a Lampedusa portando turismo e denaro sull’isola.

Purtroppo assurde leggi che non proteggono affatto l’ambiente ideate da incompetenti e che andrebbero riviste permettono questo scempio.

 

Comunque nel tentativo di documentarci e saperne di più della gestione dei parchi e delle riserve e tutte quelle strutture facenti parte delle aree protette, ci siamo imbattuti in diversi articoli non smentiti che forse ci daranno la possibilità di capire la situazione è l’organizzazione delle aree protette in Sicilia e non solo.

Ecco alcuni stralci di un articolo che Legambiente pubblicato su Greenreport del 2016:

“Per i parchi regionali sono evidenti alcuni nodi: la crescita esponenziale e ingiustificata del personale, spesso non qualificato; l’assenza di pianificazione: nessun parco dopo 15 anni dall’istituzione è dotato del piano territoriale; il continuo commissariamento degli enti; l’assenza di vigilanza sul territorio; l’assenza di azioni di contrasto a pratiche illegali diffusissime: dal bracconaggio ai tagli del legname, dal fuoristradismo all’abusivismo edilizio. Anche la stessa vicenda delle agromafie dei Nebrodi dimostra quanta disattenzione ci sia negli altri territori per questo fenomeno noto e diffusissimo; gestioni spesso autoreferenziali e fuori da approcci di sistema con il resto del mondo delle aree protette; assetti organizzativi in profondo contrasto tra di loro, basti pensare alla questione dei guardiaparco presenti solo sui Nebrodi; la rinuncia da parte dei parchi a un ruolo critico nei confronti della Regione per l’assenza di politiche settoriali o scelte in danno delle aree protette” e ancora: “La legge quadro n.394 (n.d.r quella nazionale sui parchi) non ha trovato in Sicilia né recepimento formale né ha costituito stimolo per l’adozione di prassi o scelte progettuali costituenti buone pratiche nei parchi nazionali.

Anzi l’unica attuazione della legge n.394 è stata quella di produrre, con una sentenza della Corte Costituzionale del 2014, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale della legge regionale in materia d’istituzione delle riserve naturali, portando all’annullamento di quella dei Pantani della Sicilia sud orientale, area di straordinaria importanza ornitologica a livello europeo.

Gli organismi di gestione dei parchi regionali siciliani, in contrasto con i principi della legge quadro nazionale, vedono la presenza dei soli rappresentanti degli enti locali e nel 2012, su richieste dei presidenti degli enti parco siciliani, sono state espunte le rappresentanze del mondo scientifico e di quello ambientalista.

Ma è sul piano della spesa e dell’organizzazione che il sistema dei parchi regionali è insostenibile e inaccettabile, sempre più sul piano sociale.

I 4 parchi regionali (non teniamo conto del Parco dei Sicani di fatto non operante) costano 1,2 milioni di euro per il funzionamento e la gestione e quasi 12 milioni di euro per il personale (oltre 260 dipendenti).

I dati configurano dei veri e propri stipendifici e si commentano da soli, anche con riferimento a parametri oggettivi o a quelli cui s’ispira l’organizzazione dei parchi nazionali, di gran lunga più estesi e che hanno conseguito spesso maggiori risultati”.

 

Ottima analisi fatta da Legambiente ma ci sembra che si vuol far intendere che i parchi nazionali stanno bene. Purtroppo secondo il rapporto triennale della Corte dei Conti 2014-2016 quasi tutti i parchi nazionali sono in perdita nonostante il 90% delle risorse provengano dallo stato. ECONOMIA E GESTIONE DEI PARCHI NAZIONALI IN ITALIA:

Ecco cosa dice la Corte dei Conti:

“L’esame dell’intero sistema degli Enti Parco evidenzia aspetti problematici, sia nell’attuazione della Legge quadro n. 394/91, sia di carattere gestionale ed

economico- finanziario, riguardanti in particolare:

• la complessità delle procedure di adozione degli atti di pianificazione, che ha comportato un’eccessiva dilatazione dei tempi di approvazione, tanto che per molti, a distanza di oltre 26 anni dall’entrata in vigore della stessa, il relativo procedimento è ancora in itinere;

• l’inadeguatezza del modello organizzativo che, in quanto unico, non tiene conto delle caratteristiche e della dimensione territoriale e demografica di ciascun Ente; fra le fonti di finanziamento, l’assoluta prevalenza dei trasferimenti statali, la carenza di contributi finanziari degli Enti territoriali, la sostanziale irrilevanza delle entrate proprie;

una situazione di deficit economico strutturale di alcuni Enti Parco che richiede una particolare attenzione, anche da parte del Ministero vigilante”.

 

Sempre nell’ottica di capirne di più abbiamo trovato per quanto riguarda la Sicilia questo articolo del CODACONS che vi farà capire meglio di cosa stiamo parlando:

PERSONALE DELLE AREE PROTETTE TRA FAVORITISMI, ASSUNZIONI IMPROPRIE, PRECARIETÀ E IMBOSCAMENTI

Novembre 28, 2016 articolo che trovate online e che si chiude così:

“Il Codacons chiede con forza che venga fatta chiarezza sull’intera situazione delle Riserve Naturali, dal loro affidamento, all’arruolamento del personale e alle mansioni dello stesso, all’impiego delle dotazioni per le attività di tutela al fine di recuperare lo spirito che ha guidato la loro istituzione e abbandonare il percorso attuale che sempre più sta assumendo i connotati di una vera e propria “espropriazione ambientalista”.

Questo in base all’articolo il CODACONS lo chiedeva nel 2016, quindi se gli enti parco piangono (soprattutto la popolazione) le oasi, le ZPS, Z.I.C., R.N.O. non ridono indipendentemente da chi li gestisce: stato, regione associazioni ambientaliste.

 

Nel tentativo di avere una visione a 360 gradi, ci siamo imbattuti in un articolo pubblicato su TP24 da un naturalista in data 07/09/2019. Ne prendiamo uno stralcio:

“(…) La Sicilia è stata tra le prime regioni d’Italia a dotarsi di una legge sui Parchi e sulle Riserve Naturali, legge che è stata integrata e modificata nel lontano 1988. Tutto sommato sarebbe stata una buona legge se attuata alla lettera e se non fosse stato per una pecca macroscopica contenuta nell’Art. 1 della 14/88, ex Art. 3 L. r. 98/81. “Consiglio Regionale per la Protezione del Patrimonio Naturale. Istituzione e Composizione” (CRPPN).

Il CRPPN, massimo organo tecnico consultivo dell’Assessore regionale all’Ambiente, ha un sacco di prerogative, tra le quali: predisporre il piano regionale dei parchi e delle riserve naturali, controllare per ciascuna area protetta regionale (parchi e riserve) il raggiungimento delle finalità istituzionali e l’osservanza delle norme di legge e di regolamento, svolgere attività di promozione e di indirizzo della politica di gestione delle aree protette, predisporre direttive vincolanti relative alla valutazione di impatto ambientale che deve accompagnare tutti i progetti di opere e di manufatti da realizzarsi nei parchi e nelle riserve, valutare gli studi d’incidenza nel caso in cui nel perimetro delle riserve vi rientrino aree della Rete Natura 2000.

La conoscenza e la competenza dei componenti del CRPPN in materia di salvaguardia del patrimonio naturale rispetto ai politici hanno reso il Consiglio come una sorta di potentato da fare invidia agli stessi politici.

Il Consiglio, oltre che dalle note figure istituzionali, oltre che dai sette docenti universitari delle materie attinenti alla conoscenza e alla gestione del patrimonio naturale (spesso aderenti alle ass. ni ambientaliste che sono nel CRPPN), oltre che dall’urbanista e dal vulcanologo, originariamente era composto da sei esperti (oggi sono sette anche se l’ultimo arrivato non ha preso niente) designati dalle associazioni ambientaliste: Italia Nostra, WWF Italia, C.A.I., Legambiente, L.I.P.U. e G.R.E. a gestione delle riserve, finanziata dalla A alla Z dalla Regione, non esclusi gli stipendi dei dipendenti degli Enti affidatari, è finita tutta nelle mani di chi avrebbe dovuto “controllare il raggiungimento delle finalità istituzionali e l’osservanza delle norme di legge e di regolamento” delle stesse riserve assegnate, cioè del CRPPN.”

 

Qualcuno ha invocato l’arrivò dei Carabinieri forestali: noi anche quello della guardia di finanza e di un pool di magistrati!

In ogni caso le scriventi Associazioni si riservano di porre in essere le opportune azioni presso tutte le sedi competenti al fine di individuare le responsabilità che a diverso titolo hanno determinato il disastro ambientale cui stiamo assistendo.

 

 

 

Sicilia Nostra,

Liberi Cacciatori Siciliani,

Italcaccia,

A.N.C.A.

AgriAmbiente

 

Catania, 12.08.2021

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