La Sicilia, culla del Mediterraneo, mediatrice di pace e integrazione
LAMPEDUSA
– Recuperare
la centralità che la Sicilia ha sempre avuto nel Mediterraneo. È un messaggio di
alto profilo quello affidato all’evento conclusivo della rassegna letteraria
itinerante promossa nelle Isole Minori dall’Assessore regionale al Turismo
Anthony Barbagallo, e ideata e organizzata con vivo successo da Taobuk, il
festival letterario fondato e diretto da Antonella Ferrara. Terza e ultima tappa
Lampedusa, che con il patrocinio del Comune ha ospitato l’incontro “Sicilia,
culla del Mediterraneo”, tema emblematico sul piano geopolitico dell’insularità.
«Occorre riconoscere all’intero arcipelago siciliano un ruolo centrale e
fondamentale nel processo di integrazione tra i popoli accomunati dall’identità
mediterranea. Una missione irrinunciabile che discende dallo straordinario
patrimonio isolano e dalle sue stratificazioni storiche e culturali», sottolinea
l’assessore Barbagallo.
Grazie alla collaborazione dell’Istituto “Luigi Pirandello”,
l’approfondimento di Lampedusa si è svolto in un’aula magna significativamente
gremita di studenti, che hanno seguito con estremo interesse i due autorevoli
relatori, il medico Pietro Bartolo e l’economista Maurizio Caserta. Un
appuntamento di rilievo al quale sono intervenuti il vicesindaco Maria
Dell’Imperio, la preside Rosanna Genco e Nino Taranto, presidente
dell’Associazione Archivio Storico Lampedusa.
Sia Bartolo che Caserta - su sollecitazione di Antonella Ferrara,
nelle vesti di moderatrice - hanno fatto proprio l’appello lanciato in giugno a
Taormina da Abraham Yehoshua nel corso della serata inaugurale di Taobuk, e
rilanciato in prima pagina sul quotidiano La Stampa. Di fronte ad orrori annosi
e mai risolti - dai tormentati conflitti mediorientali e nordafricani fino alla
tragedia dei migranti - il grande scrittore israeliano auspica un Mediterraneo
unito e individua nella Sicilia, per storia e retaggio, la regione deputata a
mediare tra i contendenti, fino a farne una sorta di Bruxelles del Mare
nostrum.
Per
affrontare una tale prospettiva quale sede migliore di Lampedusa che raccoglie
quotidianamente la sfida dell’accoglienza? Quale migliore testimone di Pietro
Bartolo che da quasi trent’anni cura ed assiste i migranti, parla le loro
lingue, rispetta il loro credo religioso, asciuga le loro “Lacrime di sale”,
come recita il titolo del suo
libro.
“All’inizio - confessa
- non lo volevo scrivere. Mi sembrava di tradire la fiducia delle persone che
aiutavo, mettendo a nudo la loro vita, la loro sofferenza, i loro sogni. Allora
ho escogitato di scriverci dentro anche la mia di vita, per mettermi alla pari
con loro. Sono contento di averlo fatto perché il libro sta contribuendo a fare
cadere quei muri mentali e gli stereotipi che purtroppo si sono creati. Dico
sempre ai miei collaboratori che la cosa più importante è avere un approccio
umano prima ancora che umanitario”.
Ma intanto lo strazio
continua. «Quello che succede – evidenzia Bartolo - è vergognoso.
Nel 2013 con l’operazione Mare Nostrum le nostre navi si sono messe a
disposizione per evitare vittime e naufragi. Questo accadeva dopo la strage di
Lampedusa del 3 ottobre con i suoi 360 morti. Da quell’azione di civiltà siamo
però arrivati ad un paradosso. I trafficanti hanno fatto bingo, da quel momento
impiegano solo gommoni, non hanno più bisogno di barche di grandi dimensioni. Il
risultato è che sono aumentati i naufraghi e i morti».
Come contrastare questo meccanismo
perverso? «L’Europa - prosegue Bartolo - deve fermarsi a
riflettere. Un esempio per
tutti. La Libia di oggi è un inferno. I
migranti arrivano da noi dopo aver subito torture inenarrabili. È in atto un genocidio. Non possiamo più dire “noi non sapevamo”, perché lo
sappiamo da trent’anni. La strada giusta è creare dei corridoi umanitari. Ce lo
ha insegnato la comunità di Sant’Egidio, c’è la testimonianza del papa. Anche
l’Europa deve farlo».
Non basta l’accoglienza. Come
evitare che si creino i ghetti, chiede ancora Antonella Ferrara? Qual è il senso
di un’identità mediterranea? «Noi siamo una porta sempre aperta, come la scultura di
Mimmo Paladino sull’Isola. Siamo bravi nell’accoglienza ma scarsi
nell’integrazione, anzi nell’interazione mirata a far entrare chi arriva a pieno
titolo nella nostra società. La parola d’ordine deve essere:
includere». Così Bartolo traduce il valore di libertà fondanti,
come quella di andare via per sottrarsi ad un destino di miseria e
soprusi.
È l’assist che ci vuole per Maurizio Caserta:
«Ognuno – afferma l’autore di “Mediterraneo Sicilia
Europa” e anima dell’omonima associazione – dovrebbe chiederselo: perché sono
nato qua e non altrove? Quale dose di fortuna mi tocca, in più o in meno,
rispetto ad un coetaneo del Burkina Faso o della Baviera? Dal disagio del caso che ci rende cittadini
di un luogo piuttosto che un altro nasce il diritto a cambiare lo stato di cose
e il proprio. Gli emigranti siciliani che
scappavano dalla fame si sono spostati altrove, per noi è dunque abbastanza
scontato avere un diritto a costruire la nostra vita laddove riteniamo più
opportuno. Così è scritto anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti
dell’Uomo del 1948. Nella realtà, però, non a tutti è riconosciuta questa
fondamentale opportunità».
Come influisce in questa visione
l’identità della nostra terra? «In generale, l’identità è quella che ci portiamo dal
passato e però muore se non si rivitalizza con il cambiamento a cui è
continuamente esposta. L’identità mediterranea della Sicilia deve fare tutt’uno
con quella europea, che consiste proprio in questa capacità tipica della società
aperta. Ciò deve portarci a mettere l’uomo al centro: un umanesimo che
rappresenta una sfida da accettare ogni giorno. In quest’ottica ci possiamo impegnare
affinché la legge scritta, il nomos dei Greci, recepisca istanze di
quella non scritta. Noi dalla Sicilia, da
Lampedusa, dimostriamo di raccogliere appieno la suggestione di Yehoshua,
perché da qui parte una cifra
della modernità che va ricostituita e rifondata: guardare ad urgenze sempre nuove, desiderare il
confronto, chiamati come siamo a risolvere di continuo questioni mai prese in
considerazione prima. Il mio augurio è che il prossimo leader europeo venga
proprio da quest’Isola».
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