Bestie di scena di Emma Dante: debutto siciliano al Teatro Stabile di Catania
CATANIA – Il Teatro Stabile di
Catania ospita l'atteso debutto siciliano dello
spettacolo Bestie di scena,
ideato e diretto da Emma Dante, in scena alla sala Verga dal 7
all'11 novembre, per un totale di 6
rappresentazioni.
Accolto con enorme successo di pubblico al Piccolo Teatro di Milano, che lo
coproduce insieme al Teatro Biondo di
Palermo, al Festival di Avigone
e al Teatro Argentina di Roma,
Bestie di scena ha aperto un acceso dibattito tra gli addetti ai lavori e
i critici. Emma Dante ha realizzato la sua opera più estrema e personale, una
riflessione sul teatro che diventa specchio del
mondo.
Quattordici attori nudi in scena sono coinvolti
in una partitura fisica dura, enigmatica e spiazzante, con la quale esprimono la
loro dedizione al teatro ma anche le derive ossessive e controverse di una
comunità smarrita e impaurita.
Lo spettacolo è interpretato da Elena Borgogni,
Sandro Maria Campagna, Viola Carinci, Italia Carroccio, Davide Celona, Sabino
Civilleri, Alessandra Fazzino, Roberto Galbo, Carmine Maringola, Ivano
Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele Savarino, Stephanie Taillandier ed Emilia
Verginelli. Ala messa in scena prendono parte anche Daniela Macaluso e Gabriele
Gugliara. Gli elementi scenici sono ideati da Emma Dante, mentre le luci sono di
Cristian Zucaro.
«In Bestie di
scena – spiega
l’autrice e regista – c’è una comunità
in fuga. Come Adamo ed Eva cacciati dal paradiso, le bestie finiscono su un
palcoscenico pieno di insidie e di tentazioni, il luogo del peccato, il mondo
terreno. Lo spettacolo ha
assunto il suo vero significato nel momento in cui ho rinunciato al tema che
avrei voluto trattare. Volevo raccontare il lavoro dell’attore, la sua fatica,
la sua necessità, il suo abbandono totale fino alla perdita della vergogna e
alla fine mi sono ritrovata di fronte a una piccola comunità di esseri
primitivi, spaesati, fragili, un gruppo di “imbecilli” che, come gesto estremo,
consegnano agli spettatori i loro vestiti sudati, rinunciando a tutto. Da questa
rinuncia è cominciato tutto, si è creata una strana atmosfera che non ci ha più
lasciati e lo spettacolo si è generato da solo».
Note d’autore e di
regia
Bestie di
scena ha assunto
il suo vero significato nel momento in cui ho rinunciato al tema che avrei
voluto trattare. Volevo raccontare il lavoro dell’attore, la sua fatica, la sua
necessità, il suo abbandono totale fino alla perdita della vergogna e alla fine
mi sono ritrovata di fronte a una piccola comunità di esseri primitivi,
spaesati, fragili, un gruppo di imbecilli che come gesto estremo consegnano agli
spettatori i loro vestiti sudati, rinunciando a tutto. Da questa rinuncia è
cominciato tutto, si è creata una strana atmosfera che non ci ha più lasciati e
lo spettacolo si è generato da solo. Per un tempo lungo delle prove ci siamo
concentrati sullo sguardo, siamo stati ore a guardarci io e gli attori, loro
guardavano me e io li guardavo, senza parlare, senza giudicare. All’inizio erano
vestiti, poi in mutande e alla fine nudi. Si sono spogliati piano piano, ognuno
col tempo che serviva. Poi, ottenuto ciò che volevo, io spettatrice, colei che
se ne sta seduta sulla sedia e guarda, ho cominciato a sentire la pena del mio
sguardo, provando uno strano senso di colpa di fronte alla scena nuda e ai corpi
nudi. Allora ho chiesto loro di coprirsi occhi, seni e genitali per liberarmi da
questo peso. E ho capito che il peccato
stava nel mio sguardo, nel mio fissare quei corpi quelle facce, che faceva del
male soprattutto a me.
In Bestie di scena c’è una comunità in
fuga. Come Adamo ed Eva cacciati dal paradiso, le bestie finiscono su un
palcoscenico pieno d’insidie e di tentazioni, il luogo del peccato, il mondo
terreno. Lì c’è tutto ciò che serve: la casa, la stanza dei giochi, l’odio,
l’amore, il sentiero, il rifugio dove trovar riparo, la paura, il mare, il
naufragio, la trincea, la tomba dove piangere i morti, i resti di una
catastrofe…
Le bestie di scena non
fanno altro che immaginare. S’illudono di vivere, tenendo tra le mani oggetti in
prestito, nutrendosi di poltiglie, farfugliando brandelli di storie. Come i
bambini credono nei giochi e, alienati da tutto, se ne lasciano incantare fino
agli eccessi della demenza. Ballano, cantano, urlano, litigano nei dialetti del
Sud, seducono,
impazziscono, amano, ridono,
combattono…
In Bestie di scena c’è un meccanismo
segreto che svela il processo con cui nasce e si forma un individuo.
Al
centro c’è lui con i suoi
movimenti scoordinati e selvaggi, lui
che traccia percorsi più importanti della meta, che cerca strade non ancora
battute. È lui
il cuore pulsante dell’esercizio, il pilastro della giostra, colui al quale
rivolgere tutta l’attenzione per una possibile interpretazione di ciò che siamo.
Senza storie da raccontare, né
costumi da indossare, le bestie di scena si muovono maldestramente come al
principio di tutto, obbligandoci a dare peso, volume e ingombro al nostro
sguardo. Siamo noi a scegliere sin dall’inizio se accoglierli o rifiutarli. Gli
imbecilli che ci stanno di fronte non fanno
altro che partecipare istintivamente a movimenti scanditi dal ritmo in cui i
muscoli e i riflessi sono
sollecitati e tesi a raggiungere uno stadio in cui è il corpo a pensare.
Sul palco
vuoto, dentro una scatola nera delimitata da un fondale e sei quinte, il corpo
di queste anime avvinghiate in una ronda silenziosa diventa il custode di un segreto. L’uscita è
vietata, dalla quinta
arrivano segnali di fuoco e da questo
recinto le bestie non potranno più uscire.
Dopo aver affrontato
svariate prove, dalla quinta
arriverà l’ennesimo comandamento, l’ultimo, il più terribile. Solo allora gli
imbecilli disubbidiranno. Sceglieranno di restare nudi in schiera davanti a noi,
senza coprirsi neanche più occhi, seni e genitali. La loro scoperta sarà di
essere sempre stati nudi e di non essere stati altro che quello. Non avrà più
senso raccogliere, coprirsi, compiere altre azioni ma semplicemente stare, e
guardare. Da qui forse ripartirà un nuovo stimolo, una nuova necessità per fare
finalmente uno spettacolo nuovo, il prossimo, quello che non sono mai riuscita a
creare, lo spettacolo mancante. I resti ammucchiati sul palcoscenico, alla fine
del processo di Bestie di scena, mi
lasciano un senso di desolazione e di abbandono che mi riporta a una frase di un
libro di Giorgio Vasta, Absolutely
Nothing: «Non mi interessa il tempo dei bombardamenti ma quello che comincia
subito dopo, a guerra finita: un tempo di procrastinazioni e istintiva
inadempienza a trasformare i progetti in azioni. Un tempo in cui la distruzione
si è fatta oblio. Le macerie devono restare non per ricordare i bombardamenti,
ma perché descrivono tutto ciò che da allora non è accaduto. Le macerie come
sintesi delle occasioni mancate.
Emma Dante
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