Il MacS di Catania presenta "Sguardi eterni tra la terra e il cielo" di Ciro Palumbo al Castello di Schisò
Il MacS (Museo Arte Contemporanea
Sicilia) presenta Sguardi eterni tra la terra e il cielo,
personale di Ciro Palumbo a cura di Alessandra Redaelli. Il
vernissage si terrà venerdì 7 agosto,
alle ore 21.00, al Castello di Schisò (Giardini Naxos), nuova e suggestiva
sede espositiva del MacS, per concludersi giovedì 10 settembre.
Giuseppina
Napoli, (Direttrice Macs) – “La mostra personale Sguardi eterni
tra cielo e terra di Ciro Palumbo al Castello di Schisò di Giardini Naxos è
il completamento e seguito della mostra che dal 28 Giugno 2015 ha sede al
Castello Carlo V di Monopoli. Due preziosi luoghi scelti per accogliere un
affascinante ed antico racconto le cui sinuose trame, ordite di arte e
sentimento, giungono fino in Sicilia a Naxos, dove approdarono i Greci che ne
fecero la prima colonia e dove oggi storia e mito si incontrano e trovano
contemplazione nelle mura del Castello di Schisò, che diventano lo specchio
delle storie figurate e degli eventi mitici di Palumbo, ne amplificano il senso
e lo restituiscono con immediatezza al nostro contemporaneo. In questo Ciro è
maestro, nel saper cogliere le memorie delle gesta, nel saperle rendere in
efficaci metafore e nel sublimarle poi in colori brillanti, vibranti e
sognanti. Il suo totale coinvolgimento con i soggetti, la cultura nel genere
che ha acquisito, la sua instancabile voglia di trasmettere e comunicare, ne
fanno un narratore ed un pittore dedito all'arte con la passione di chi ne ha
fatto lo scopo ed il fine nella vita. Per queste sue qualità noi gli siamo
grati, per riuscire a parlare a tutti, tramite le sue opere, di una mitologia
che nel nostro frenetico contemporaneo non è scontato conoscere, ripercorrendo
lo sviluppo della civiltà e del pensiero, coinvolgendoci nei suoi percorsi
mentali ancorché di materia pittorica. A Ciro Palumbo siamo grati per aver
eliminato le distanze riuscendo a farci riappropriare di un mito antico che
appartiene a tutti noi”.
Uno stralcio dal testo critico di
Alessandra Redaelli - “[…] Palumbo è un affabulatore, un cantastorie,
qualche volta un giocoliere, qualche altra volta uno chef sopraffino che si
diverte a mescolare gli ingredienti più assurdi, più impensabili, riuscendo a
far scaturire dalla loro unione profumi e sapori sublimi. Il suoi dipinti
potenti, ipnotici, capaci di intrappolare lo sguardo in una spirale infinita di
stimoli percettivi, di catturarlo e sedurlo fino a farlo capitolare, sono come
scatole cinesi, come sfide sottili. Il paesaggio è spazio e personaggio, anima
capace di incarnare pensieri ed emozioni. Il cielo è come lo sguardo di Dio,
limpido di gioia o fosco di collera. Il mare si alza in tempeste misteriose, in
onde dalle creste affilate come coltelli, che sembrano poter tagliare in due la
piccola imbarcazione che le solca impavida. La costa si fa di volta in volta
tenero abbraccio, utero accogliente, rifugio del naufrago oppure quinta oscura
dai mille nascondigli bui e fitti di minacce. La roccia è al tempo stesso
natura selvaggia e lascito dell’uomo, un uomo forse passato di lì più di mille
anni prima: resta del suo passaggio una porta, una finestra incerta, una presenza
remota fantasmatica e inquieta. E poi c’è lui. L’eroe. Forse un dio, forse un
semidio. E la sua presenza incombente fa vibrare l’aria rarefatta del dipinto.
Può essere Prometeo accasciato su una roccia – la fronte virile corrugata in
un’espressione di sconforto – affranto per l’uso sconsiderato che l’uomo ha
fatto della conoscenza. Può essere Vulcano, possente e fiero, seduto come un re
compiaciuto sul suo trono di pietra. Oppure è Polifemo, battuto, sì, ma non
sconfitto, con l’occhio che, ancora, caparbio si fissa in quello dello
spettatore attraversando la fascia che dovrebbe oscurarlo. O Ulisse, non più
persona, ma portatore di pensieri, di sogni, di memorie e di esperienze. Figure
possenti, scolpite in un marmo dalle tinte gelide, gli occhi ciechi della
pietra a dichiarare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che di marmo si
tratta, di materia dura, eterna e indissolubile. Ma non è così. Basta uno
sguardo per capire che non è così. Ed è qui, in questa squisita ambiguità, che
si gioca la magia di Palumbo. Perché al di là di ogni ragionevole dubbio è
carne morbida, cedevole, sottilmente sensuale quella di Proserpina, stretta
nell’abbraccio del suo rapitore. Così come è carne quella delle tre Grazie di Piccole estasi, dipinto di un erotismo
languido, estenuante, a dispetto dei perfetti ovali dei visi e delle
capigliature rubate alla statuaria classica. E con un pizzico di ironia è carne
quella dell’Hermes che si gira di tre quarti, quasi sorpreso, mentre lo
spettatore ne scopre le grazie liberate dal morbido panneggio. E carne, e anche
emozione, addio, tristezza rispecchiata da un cielo crepuscolare, è quella di
Amore e Psiche […]”.
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