"Un miracolo chiamato vita" di Nunzio Currenti, un libro delizioso edito da ALGRA
“Il segreto dell’esistenza umana non consiste soltanto nel
vivere, ma anche nel sapere per cosa vivere”.
Un pensiero di Fëdor Dostoevskij,
in esergo, illustra quella che potremmo definire una lucida sintesi del libro Un
miracolo chiamato vita del giornalista Nunzio Currenti, edito da Algra.
In questo libro - leggiamo nella prefazione di Samantha Viva - ho trovato più che una storia: ho letto una grande voglia di rivalsa e un grande messaggio di fiducia che sono sicura potranno
giovare a molti.
E anche la certezza
che io e Nunzio saremo amici per sempre, perché ancora
una
volta, anche se lui crede di aver usato le parole solo per se stesso, ha regalato
a me parole per difendermi, alcune per provare a spiegare
la fede, altre per capire l’amore, altre an- cora per rinnovare quella speranza che non sempre
è l’ultima a morire, ma che, anzi, a
volte non muore proprio per niente, che resta imperterrita a spiegarci come sopravvivere.
La storia. Può uno dei momenti più intensi della
vita trasformarsi in un dramma dalle tinte fosche? Può una vita appena iniziata
scorgere il baratro della morte? Possono due genitori ritrovarsi a lottare
prima ancora che gioire? Questo è quello che è accaduto a Damiano e alla sua
famiglia che per 226 giorni, senza mai risparmiarsi, hanno dovuto affrontare
una prova dietro l’altra, un saliscendi di vissuti travolgenti e contrastanti,
un vortice di paure e di desideri. Un miracolo chiamato vita racconta
questo: una storia di sacrifici e di dolore, di forza e di speranza, ma
soprattutto un monito e un incoraggiamento per tutti coloro che si trovano a
vivere sospesi.
Un passo dal libro
IL MIRACOLO DI SANT’AGATA
E l’impossibile parve avvenire. Damiano migliorò leggermente.
La benedizione di Dio pareva avesse alleviato le sue sofferenze, eppure per noi
ogni pomeriggio era un dramma: arrivavamo in terapia intensiva e non sapevamo
cosa attenderci. Un giorno la porta non si aprì: capimmo che uno dei bimbi
ricoverati non ce l’aveva fatta. Insieme con me e Antonella in attesa di una
risposta dietro quella porta altri genitori attanagliati dalla nostra stessa
angoscia. Dopo quasi un’ora ci fanno entrare. Siamo stanchi e provati, ma
cerchiamo di non perderci d’animo. Damiano ha la febbre, non una febbre
altissima. Antonella gli controlla la pancia. «Mi sembra gonfia… Mi sembra
gonfia…» continua a ripetermi sulla strada di casa come a intonare un maledetto
ritornello. […] L’intestino di Damiano si è sbloccato da solo. In quella
terapia intensiva, in cui regnava solo il silenzio, per la prima volta la paura
della morte sembrava cedere il passo allo stupore e alla speranza. Fu ordinata
un’ecografia. Il responso? «Quanto accaduto a vostro figlio non ha una
spiegazione scientifica. Seguiremo Damiano passo dopo passo. Ci aggiorniamo tra
ventiquattro ore» furono le uniche parole dei sanitari. Il dottore Mancuso,
l’angelo protettore di Damiano che aveva raccolto i miei sfoghi, i miei pianti,
i miei turbamenti senza mai chiudermi la porta in faccia, me l’aveva promesso:
sarebbe stato vigile su tutto. Damiano era certamente in buone mani. Damiano
per tutta l’équipe era ormai una questione di principio. Io e Antonella uscimmo
da quella stanza sentendoci avvolti dall’ignoto; non ce la sentimmo di tornare
subito a casa, così andammo nella cappella dell’ospedale e lì pregammo,
pregammo e ancora pregammo. «È il 3 febbraio: Sant’Agata ha benedetto Damiano» fu
il commento di zia Francesca, la sorella di mia suocera. Due giorni dopo,
esattamente il 5 febbraio, un nuovo baratro. Ora, per quanto ad alcuni questa
data possa non dire granché, per i siciliani, e i catanesi in particolare, il 5
febbraio non è un giorno qualsiasi: è il giorno di Sant’Agata, il giorno della
festa della patrona di Catania. E che festa! Per noi, in- vece, aleggiava lo
spettro che quel 5 febbraio potesse diventare il giorno più brutto. L’ultimo.
Arrivati in ospedale, incontriamo l’addetta alla reception e due chirurghi che
passeggiano nervosamente nel lungo corridoio del -2. Ricordo ancora il rumore
dei passi, avanti e indietro, inesorabili. «Temiamo che il colon sia
danneggiato. Dobbiamo operare» ci dicono. Decidiamo di avvisare i parenti che,
uno dopo l’altro, si presentano in ospedale. Questa volta io sono davvero
tesissimo e, per quanto mi sforzi, non riesco a mantenere la calma. Dal
nervosismo tiro pure calci alle sedie. Ogni volta che si aprono le porte della
sala operatoria il respiro viene meno. Alle 17,30 arriva una telefonata
speciale: era Enza, live da piazza Duomo. «La santa è appena uscita dal Duomo
per la processione. Ho pregato per Damiano». Appena cinque minuti dopo, i
chirurghi escono dalla sala operatoria. «L’intervento è andato bene. Abbiamo
dovuto asportare gran parte del colon. Adesso comincia il percorso più
difficile» sono le parole del dottore. Dopo sette ore sotto i ferri, la terza
battaglia di Dami era appena finita. Scopriremo più tardi, leggendo la cartella
clinica, che il suo cuore quel giorno si affaticò e non poco. Ricominciarono le
giornate senza luce, senza prospettiva. Dami non riusciva a crescere, a Catania
non c’erano gli strumenti per curarlo. Uno dei medici consultò gli Ospedali
Riuniti di Bergamo. Per uno strano scherzo del destino la città orobica che,
anni prima, aveva segnato la mia rinascita, tornava nuovamente nella mia vita.
Avevo, infatti, lavorato come portalettere in Lombardia nel 1996, l’estate
delle Olimpiadi di Atlanta, la prima estate passata lontano da casa e l’inizio
della mia nuova vita a due anni dalla scomparsa di mia mamma. Bergamo inviava
giornalmente un protocollo di alimentazione per Damiano e progressivamente si
fece avanti l’ipotesi di fare armi e bagagli e di stabilirci lì. Fortunatamente
non fu necessario. A poco a poco la terapia sembrava rivelarsi efficace e la
situazione generale normalizzarsi, ma una nuova insidia era proprio dietro
l’angolo. […] Ma Dami ha un cuore grande, un angelo custode e qualche santo
protettore vicino: anche quella volta la sfangò. Prese pure qualche grammo. Il
12 maggio fu il giorno della quarta operazione: bisognava provare a togliere la
stomia e ricanalizzare l’intestino. Le cose andarono per il verso giusto.
Nessuna complicazione. Nessun inghippo. Forse Damiano poteva davvero cominciare
il suo recupero e noi tirare un sospiro di sollievo.
L’autore. Nunzio Currenti, classe 1972, è giornalista professionista dal 2008 e
grande appassionato di sport. Ha collaborato con il quotidiano La Sicilia per 25 anni. Ha curato l’Ufficio
Stampa del Comune di Santa Venerina e, successivamente, di Fiumefreddo. Si
occupa da sempre di comunicazione, in particolare nella pallavolo e nel calcio.
Segue con grande passione il ciclismo. È coordinatore dell’inserto
mensile Tempo sport ciclismo, edito dallo CSAIn.
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