Il riso amaro del Cappello di Carta memoria di un passato da non dimenticare
MASCALUCIA- Grande
umanità, riflessione, battute divertenti e ritmo frenetico per “Il cappello di carta” di Gianni Clementi testo riadattato in
siciliano da Rodolfo Torrisi per la
regia di Rita Re applaudito
spettacolo in cartellone della 31°
stagione del Teatro Stabile di Mascalucia, in scena questo fine settimana e
in replica domenica 15 dicembre.
Sul palco del Teatro San Gabriele dei Padri Passionisti viene
raccontata la storia di una famiglia siciliana di muratori, da qui il titolo il
cappello di carta, emigrati a Roma in una casa umile ma dignitosa, ricostruita
dalle scenografie di Alfio Nicolosi, dove tra l’estate e l’inizio dell’inverno1943
Carlo patriarca della famiglia, simpatico e ruspante muratore in pensione,
interpretato da un istrionico Maurizio
Panasiti, con il figlio Leone, un convincente Santo Palmeri, muratore per discendenza e marito di Camilla,
interpretata da Rita Re che dirige sapientemente questa commedia dal sapore
neorealista, la figlia Anna, vedova in cerca di buon partito, una convincente Anna De Luca, il nipote Candido, un
giovane promettente Flavio Palmeri,
che non ha molta voglia di lavorare in cantiere con il padre, la nipote Bianca,
una delicata Adriana Cesarotti,
innamorata del romanissimo Remo, interpretato con la consueta bravura da Andrea Zappalà, vivono vicissitudini
familiari in contrapposizione alla guerra che incessantemente li richiama alla
realtà con sirene e allarmi di imminenti bombardamenti.
Lo spettacolo viene
introdotto da una presentazione del contesto storico con una breve ma ben
costruita perfomance degli allievi del laboratorio del Teatro Stabile di
Mascalucia, mentre i cambi di scena e i momenti salienti sono scanditi da
registrazioni autentiche dell’epoca di bollettini di guerra e radio giornali accompagnati
da brani di Ivano Fossati e Francesco De Gregori.
Insieme alle
realistiche dinamiche familiari gli echi della guerra e del bombardamento del
quartiere San Lorenzo, la borsa nera, la paura dell’occupazione tedesca, il
rastrellamento del ghetto ebraico fino alla vita che non si arrende con
un’interpretazione sincera e non ostentata regalando alla gremita e partecipe
platea giustamente generosa negli applausi momenti di sano divertimento e
toccante commozione con le sue piccole storie
tra complicità e tensioni, tra desideri e necessità, tra speranze e illusioni,
tra gelosie e recriminazioni per uno spettacolo che vale la pena vedere e
rivedere.
Commenti
Posta un commento