“Some Girl(s)”: si è mai pronti al matrimonio?
Se un dongiovanni (quasi) pentito, alla vigilia
delle nozze, decidesse di partire per incontrare le precedenti fidanzate
piantate in asso? E se rimuginasse sul suo gioco bugiardo e vigliacco degli
ultimi, giovanili e ambiziosi anni? “Sei pronto per il giorno più bello della
tua vita?” recita, non a caso, l’ironico sottotitolo di “Some Girl(s)”, una
commedia intrigante e acuta, prodotta dal Teatro Bellini di
Napoli e nata dalla penna del contemporaneo Neil LaBute, uno degli
autori americani più acclamati della generazione post-Mamet.
Ospite
del Teatro Stabile di Catania per il cartellone innovativo “L’isola del
teatro”, ideato dal direttore Giuseppe Di Pasquale, la
pièce andrà in scena alla sala Musco dal 5 all’8 marzo, con l’arguta quanto
efficace regia di Marcello Cotugno, coadiuvato dalle scene di
Luigi Ferrigno e dai costumi di Annapaola Brancia D’Apricena.
Il goffo protagonista
maschile si chiama Guy ed è interpretato da Gabriele Russo, che interagirà
sul
palco con alcune ragazze evocate dal titolo anglofono: si tratta di quattro
diverse donne impersonate, in ordine alfabetico, da Martina Galletta,
Bianca Nappi, Roberta Spagnuolo e Guia Zapponi, mentre una quinta agirà
attraverso un insolito contenuto extra.
«La messinscena- anticipa il regista- si contamina con
una multimedialità che supera i confini teatrali: grazie a un link gli
spettatori avranno la possibilità di assistere a un quinto episodio della storia
che, visibile solo online, li condurrà ancora più in profondità in
quest’indagine sulle complessità delle relazioni uomodonna».
Guy è, infatti, un giovane uomo, insegnante e aspirante
scrittore, che prima di sposarsi decide di fare un viaggio à rebours nella
propria vita, mettendosi in cerca delle proprie ex per provare - in un
paradossale tentativo di espiare gli errori delle vite precedenti - a sistemare,
come dice lo stesso autore, "il casino che ha combinato nella sua vita
sentimentale lungo la strada verso la propria maturità". Ne emerge il
tragicomico ritratto, in bilico tra Rohmer e Voltaire, di un uomo-bambino: un
“adultescente” che barcolla tra paura di impegnarsi, senso di colpa e una
spietata ambizione che lo spinge, un po' per cinismo un po' per incoscienza, a
consumare e manipolare le donne della sua vita. Simpaticamente sconfitto su
tutti i fronti, alla fine sarà capace di rialzarsi, nonostante i lividi, senza
pensarci troppo su. E con la stessa leggerezza, o superficialità di sempre,
ricomincerà a macinare la propria vita tra un danno e un
altro.
Via via, ci si inoltrerà in una serie di interrogativi
spiazzanti, che accresceranno il pathos della vicenda: «Guy - si chiede il
regista - è un uomo bambino o è anche lui un naufrago alla deriva nella
liquidità dell'amore? Sam sarà una ragazza abbandonata o una provinciale
inghiottita dalle sue stesse aspettative piccolo borghesi? Tyler ha fatto
dell'indipendenza un motivo d'orgoglio e della seduzione un'arma, oppure è una
donna fragile che teme di abbandonarsi alla speranza? Lindsay è affamata di
vendetta o è semplicemente scissa tra noia e perversioni intellettuali? E chi è
in realtà Bobbi? Una donna emancipata dalla trappola delle relazioni o è anche
lei in cerca della sua parte di rivalsa? E infine Reggie (la quinta donna
presente nell'extra online) non è altro che una ragazzina curiosa o è la nemesi
che finalmente si abbatte sull'uomo?»
La regia esalta, nella sua direzione minimale, queste
ambiguità, facendo perno sulle capacità interpretative degli attori. «Tutto
confluisce- continua Cotugno- nell’idea di un teatro indie-pop: un teatro che,
con la stessa capacità di intercettare tensioni e passioni che ha la più
illuminata musica contemporanea, ingaggi lo spettatore in un processo di
identificazione non rassicurante, in una riflessione sulla liquidità delle
esistenze e dei legami, in una condivisione profonda delle emozioni. Un rito di
catarsi collettiva che, senza esaurirsi nel tempo della messa in scena, lascia
delle domande aperte che accompagnano il pubblico fuori dalla
sala».
D'altra parte “Some Girl(s)” è dedicato a Eric Rohmer,
uno dei padri della Nouvelle Vague e, come nel suo cinema, la recitazione ha il
registro di un naturalismo quasi documentario. Luci e scenografia contrastano
con il realismo che suggerirebbe la scena (una stanza d'albergo sempre più o
meno uguale) e sconfinano nel terreno di un teatro simbolista à la Maeterlinck. Le musiche
accompagnano, senza mai sottolinearne gli eventi, questa commedia brillante ma
allo stesso tempo amara, spaziando dalle tristi note di Karen Dalton al tema
della serie TV Utopia di Cristobal
Tapia de Veer, dalle note del piano di Nils Frahm al country malinconico di
Conor Oberst e Gillian Welch.
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