Peter Stein rilegge “Il ritorno a casa” di Harold Pinter
Abisso animalesco
o fonte di tenerezza? Legami ipocriti ed incancreniti o catene d’affetto e di
dolcezza? Cos’è in realtà la famiglia? Si pone questi interrogativi “Il ritorno
a casa”, dramma,
caustico e feroce, del geniale drammaturgo inglese Harold Pinter, premio Nobel
per la Letteratura nel 2005.
Ospite del Teatro
Stabile di Catania, diretto da Giuseppe Dipasquale, lo spettacolo è proposto
nella versione del regista tedesco Peter Stein, maestro del
panorama teatrale europeo, che sceglie il suo cast di qualità da un altro suo
capolavoro, “I Demoni”, maratona scenica durata dodici ore. Si tratta di Paolo
Graziosi, Alessandro Averone, Elia Schilton, Antonio Tintis e Andrea Nicolini, a
cui
si è aggiunta l’unica
donna, Arianna Scommegna.
Proposto
nella traduzione di Alessandra
Serra, la pièce sarà sul palco alla sala Verga, dal 4 all’8
marzo, ed è
frutto di un’efficace coproduzione, realizzata tra il
Teatro Metastasio Stabile della Toscana e “Spoleto56 Festival dei 2Mondi”.
La scenografia
è firmata da Ferdinand
Woegerbauer, i costumi da
Anna Maria Heinreich, le luci da Roberto
Innocenti.
Fattore scatenante di tanta aggressività compulsiva sarà
il ritorno a casa, dopo anni di lontananza, di Teddy, un figlio diventato
docente universitario in Usa, portando con sé la moglie Ruth, unico elemento
femminile in un universo di soli uomini, formato dal padre e dei fratelli di
lui.
L’arrivo avrà effetti sconvolgenti e per certi versi
inaspettati: accolta come elemento estraneo verso cui sfogare la propria
misoginia, Ruth viene accettata e inserita in un gioco al massacro in cui appare
allo stesso tempo come vittima e carnefice: sarà il marito Teddy ad andarsene da
solo. L’immagine finale mostra la donna imponente, con gli uomini frignanti e
anelanti ai suoi piedi e nessuno sulla scena e nell’uditorio saprà quello che
può accadere. Come sempre nei finali di Pinter tutto rimane
aperto…
Scritto
nel 1964, “Il ritorno a casa” è uno dei primi testi della maturità artistica
dell’autore inglese, che aveva già creato capolavori
del teatro dell’assurdo. Praticamente
quasi un traguardo per Peter Stein che racconta: «Sin
da quando ho visto la prima londinese, quasi 50 anni fa, ho desiderato mettere
in scena “Il ritorno a
casa”. È forse il lavoro più cupo di Pinter, che tratta dei profondi
pericoli insiti nelle relazioni umane e soprattutto nel rapporto precario tra i
sessi. La giungla nella quale si combatte è, naturalmente, la famiglia. I
comportamenti formali, più o meno stabili si tramutano in aggressività fatale e
violenza sessuale. Tutte le ossessioni maschili in questa famiglia di serpenti
si proiettano sull’unica donna presente. Nelle fantasie degli uomini, e nel loro
comportamento, viene trasformata in puttana e non le rimane che la possibilità
della vendetta, assumendo quel ruolo e soddisfacendo la loro bramosia più del
previsto. La famiglia comporta logiche dei quali non si discute, non si può
discutere, perché i rapporti contemplano aspetti naturali ma quasi
“animaleschi”, dei quali è difficile anche solo parlare...»
Pinter,
tra i più complessi e originali scrittori teatrali della sua generazione, nelle
sue opere ricerca situazioni psicologiche che hanno come temi la coesistenza
nella medesima persona di violenza e sensibilità, o il mistero dell’animo
femminile. Sono lavori in cui l’intreccio è talvolta quasi assente e lo
svolgimento è affidato al dialogo, con cui egli sa creare intense atmosfere.
“Nelle sue commedie scopre il baratro che sta sotto i
discorsi di
tutti i giorni e spinge ad entrare nelle stanze chiuse dell’oppressione” è,
infatti, e non a caso, la motivazione con cui gli venne assegnato dall’Accademia
di Svezia il premio più ambito.
«L’iniziativa
di questo allestimento è partita dai membri del cast de "I Demoni" che era
abituato ad un lavoro di stretta interazione -
continua
a rivelare il regista-
Durante
il dramma si scorge che il
malessere reciproco dei protagonisti li fa soffrire tutti, ma nello stesso tempo
è ciò che li tiene uniti, insieme. L’elemento davvero conclusivo, l’uscita
drammatica da quel groviglio, è solo in quella vistosa abdicazione dei maschi
rispetto all’unica donna. D’altra parte, anche se pieni di caratteri
insopportabili, quei personaggi sono nello stesso tempo anche commoventi. Penso
proprio che Pinter abbia preso questa caratteristica da Cechov: anche lì i
personaggi sono sempre degli illusi e velleitari, quasi patetici, ma è
impossibile non commuoversi per loro, e per i loro irrealizzabili
desideri».
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