Echeggiano antiche leggende dalle steppe russe di “Nastienka e il Cantore”
La nuova produzione del Teatro Stabile di Catania va in scena dal 27 febbraio al 1° marzo nella sala Musco
Protagonista Ilenia Maccarrone. Colonna sonora sono le musiche composte ed eseguite dal vivo da Juri Camisasca
Un viaggio nella Russia
senza tempo, popolata di leggendari viandanti-cantori, dove riscoprire la spiritualità che si
cela dietro la semplice saggezza popolare. È questa l’atmosfera
rarefatta di “Nastienka
e il Cantore”, pièce impregnata di misticismo e pregnanti melodie, liberamente tratta
da un breve e struggente racconto del poeta Rainer Maria Rilke, nato a Praga
nel 1875, intitolato “Come il vecchio Timoteo morì cantando”. Lo spettacolo,
che è frutto di un’altra, nuova impegnativa produzione del Teatro Stabile di Catania,
andrà in scena, dal 27 febbraio al 1° marzo, alla sala Musco per il cartellone
alternativo “L’isola del teatro”, ideato dal direttore del TSC Giuseppe Dipasquale.
A concepire interamente l’opera è il regista Gioacchino
Palumbo, qui anche artefice del testo e delle scene, coadiuvato
dal costumista Riccardo Cappello
e dal light designer Franco Buzzanca.
Sulla narrazione s’innestano canti molto particolari, composti
ed eseguiti dal vivo da un artista del calibro di Juri Camisasca. Nei panni dell’unica
protagonista evocata
dal titolo ci sarà Ilenia Maccarrone, il fresco volto siciliano applaudito nel 2013 in
“Antigone” al Teatro Greco di Siracusa e conosciuto dal pubblico televisivo per
la sua interpretazione in un episodio della fiction “Il Commissario Montalbano”, al fianco di Luca Zingaretti.
Ambientata
in un ipotetico villaggio del Caucaso,
la storia è quella di una giovane donna che racconta la sua relazione d’amore
e le nozze con il figlio di un vecchio cantore, il quale ha dovuto
drammaticamente abbandonarla, costringendola a una vita di mendicante, per
seguire il padre ed ereditarne l’antica
tradizione: canti combinati a melodie che sono l’anima del villaggio e che
altrimenti andrebbero perduti per sempre.
“Come
il vecchio Timoteo morì cantando” fu scritto in pochi giorni - subito dopo un
viaggio in Russia in compagnia di Lou Andreas Salomé, una donna che aveva
fortemente segnato la vita artistica di Rilke - e fa parte di una
raccolta, “Le storie del Buon Dio” pubblicate nel 1900, che costituisce il
momento più alto della fase di “apprendistato” giovanile dell’autore in cui
sono già presenti temi e modi espressivi della sua maturità, imperniati sulla
ricerca della religiosità.
Osserva
Palumbo: «Il tema del sacro e della trasmissione di saperi tradizionali ed
esoterici affiora in modo tangibile anche in questo racconto. La Russia di
allora appariva al poeta praghese la terra "che confina con Dio", un
paese di grandi tensioni spirituali e affascinanti tradizioni. Come quelle dei
cantori girovaghi, eredi di canti antichissimi attraverso i quali venivano
trasmesse storie che erano raccontate a viva voce e che “erravano di bocca in
bocca” sin dai tempi remoti. Leggende, non ancora sepolte nei libri, per cui Rilke
prova una dichiarata e consapevole nostalgia. È per questo motivo che lo
spettacolo è basato su una scrittura scenica che fa sua la ricerca di
essenzialità e apparente semplicità di personaggi e scenari, caratteristica
dello stile e dei contenuti dello scrittore».
Una cifra espressiva,
quella del boemo, da cui non è estraneo il significativo sottotitolo della citata
antologia: “Ai grandi perché li raccontino ai bambini”, in cui proprio il
“raccontare” diventa azione poetica, di riscoperta del bambino che è nascosto
in ogni adulto, e sa ascoltare, vedere, stupirsi. Emblematica è anche la dedica
del libro a Ellen Key, una pedagogista d’avanguardia di origine scandinava che
sosteneva con forza che solo chi è capace di imparare dai bambini può essere un
buon insegnante in grado di aiutarli a crescere.
«Gioacchino mi ha chiesto
melodie semplici, che siano l’eco di mondi interiori – afferma, sapiente,
Camisasca - Ho scelto un Harmonium indiano per creare sonorità avvolgenti.
Sulle sue note lunghe improvviso con la voce delle melodie che sono frutto del
mio “sentire”. E per infondere nel canto delle modulazioni ritmiche, sperimento
la tecnica della “lingua inventata”, con gruppi consonantici alternati a vocali
molto dilatate. Sottolineando le misteriose risonanze che intercorrono tra la
musica e lo spirito dell’uomo, la messa in scena ci suggerisce che, pur in un
mondo così caotico come quello attuale, le tematiche che riguardano la nostra
intima essenza hanno ancora un loro spazio. La vera gioia è terra di conquista
delle anime semplici».
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