Presentato “L’uomo nero”
di Francesco Foti
Il singolo del cantautore siciliano
anticipa l’imminente album d’esordio
Presentato nell’incantevole cornice della
Pinacoteca-Biblioteca di Piazza Mangelli, a Catania, L'uomo nero vibrante
singolo del cantautore siciliano Francesco Foti (edizioni ROS Group di Rossano
Eleuteri) che anticipa l’imminente album d’esordio. La drammatica tematica
della pedofilia viene affrontata da Francesco
Foti con soave quanto incisiva delicatezza.
“Il brano – spiega Francesco Foti -, nasce come una dolce ninna nanna con la parola
“nero” che salta qua e là tra le sue note. Pensando ai diritti dell’uomo e
nello specifico a quelli dei bambini che sono sempre vittime innocenti. La
“fusione” di parole e musica è stata un’alchimia incredibile, ho buttato tutto
giù di getto senza fermarmi, limando solo pochissimo in seguito il testo. Il
risultato è molto equilibrato ed efficace, e ritengo che la canzone mantenga
una sua aura fiabesca nonostante la tematica trattata sia molto cruda.
L’arrangiamento curato da Rossano Eleuteri ha conferito al tutto una morbidezza
e un’atmosfera da sogno. Il singolo è acquistabile su iTunes e
nelle migliori piattaforme dedicate. Moderati dalla giornalista Grazia Calanna (Direttore Responsabile
della rivista culturale l’EstroVerso) che ha intervistato
pubblicamente il cantautore Francesco Foti, sono intervenuti Mario Grasso (Direttore di Lunarionuovo), Luigi Carotenuto (poeta e critico letterario) e Nello Pappalardo (giornalista e critico
musicale). Per completezza, d’informazione riportiamo di seguito i rispettivi
interventi nella versione integrale.
Luigi Carotenuto -
Con
“L'uomo nero” Francesco Foti compone la sua personale Fuga, un pezzo dal climax
teso e dai toni delicati. Parla all'immaginario collettivo attraverso il linguaggio
simbolico per eccellenza, quello della fiaba. Ci parla di un tema tabù, dove
cala spesso l'horror vacui del silenzio, l'interdizione di chi si accosta.
Attorno alla violenza sui minori non è riuscita ad attecchire nessuna retorica,
come accade per la violenza organizzata delle guerre, giustificata e premiata
dalle commemorazioni. La violenza ai bambini viola i limiti, il confine “sacro”
anche per i laici e i senza dio, viola l'inviolabile. Cancella l'identità di
vite in fieri, personalità in costruzione segnate senza scampo da un gesto nero
come una lavagna. I due colori appunto, bianco e nero, i due estremi simbolici
agli antipodi ( i quali però si richiamano l'un l'altro) ingaggiano questo
astratto corpo a corpo. Pochi cenni e un'evocazione indiretta riescono a
entrarci nel cuore senza il furore accecante dell'indignazione... Si potrebbe
immaginare che “L'uomo nero / senza volto intero” sia stato a sua volta vittima
di un altro “uomo nero” che lo ha segnato, come accade in tanti casi, in cui la
coazione a ripetere è l'unica modalità, insana, conosciuta dalla vittima che si
fa carnefice. Ma la canzone invita anche a specchiarci, come non succede quando
ci dissociamo dai peggiori fatti di cronaca, reagendo d'impulso contro gli
autori dei delitti, invocando per loro le peggiori pene in maniera fanatica
come un processo alle streghe. Ciò che repelle è il lato oscuro che certo ci
appartiene, anche se lo ignoriamo. Il testo di Francesco Foti, riesce,
attraverso la voce, dal desiderio “candido” del bambino, con quel suo “Uomo
nero / vorrei tu fossi bianco / come la fata delle nevi” a muoverci a pietà,
con pathos, attraverso l'empatia che manca in un mondo alienato dai sentimenti
e mediaticamente istruito all'indifferenza, invitandoci a costruire un mondo meno
freddo, dove il calore sociale potrebbe prevenire gesti dopo difficilmente
sanabili.
Nello Pappalardo - “Conosco bene Francesco per aver
ascoltato il suo “L’uomo nero”. Considero il primo impatto sempre utile e
spesso determinante. La sua canzone mi ha dato delle immagini estremamente
positive, anche per motivi generazionali, poiché la canzone d’autore è stata,
potrei dire, la colonna sonora della mia vita; nutriamo quindi un certo
trasporto, un sentimento d’amore verso questa, fin da quando eravamo ragazzini.
Francesco s’inquadra perfettamente in questo constesto della canzone d’autore
che prevede il trasferire quella che una volta si chiamava “canzonetta”,
termine purtroppo usato dai più come dispregiativo, in un ambito che non è
quello della poesia, ma è quello del prodotto artistico che attraverso un
particolare connubio tra parole e ritmo musicale suscita determinate emozioni e
sensazioni. Francesco Foti riporta la canzone d’autore alla matrice originaria:
ho pensato immediatamente a quella semplicità, poiché si tratta sì di una
ninnananna, ma anche di una fiaba nella quale il personaggio dell’uomo nero non
è più motivo di paura, ma viene esorcizzato dal modo di cantare dolcissimo che
è di Francesco Mi piace rintracciare dei riferimenti trovandoli solo con uno
dei cantautori “minori” dei miei tempi, in cui c’era una sorta di repulsione
per le canzoni che non fossero particolarmente impegnate: c’era Bob Dylan, il
cantautore di riferimento dei miei coetanei, e poi c’era un cantautore che
forse trascuravamo perché apparentemente più semplice e dolce, mi riferisco a Donovan Phillips Leitch,
cantautore che ha avuto una grandissima importanza, seppur meno
conosciuto di altri. In Francesco ritrovo la stessa dolcezza, potenza ed
estensione vocale di Donovan Phillips Leitch, in un momento in cui pare sia più importante, non
tanto avere la voce, quanto “urlare”: mi riferisco ai prodotti dei talent show.
Non ho pudori, quindi, a differenza di alcuni, a dare alla “canzonetta” una
dignità letteraria. Abbiamo avuto come riferimento Umberto Eco che nel ’64 ha
“sdoganato” il fumetto, la canzonetta, la letteratura popolare, dando loro
quella dignità necessaria affinchè non venissero più considerati prodotti
minori. Anch’io, quando mi rivolgo a questo tipo di prodotto, tendo ad issare
una bandiera. È in questa temperie
che inquadro Francesco Foti. Aggiungo che non starò nella pelle fino a quando
non uscirà l’album perché viste le premesse sono sicuro che le canzoni che ne
faranno parte saranno di un certo spessore. Lo dico sia da appassionato di
canzone d’autore, sia perché considero “L’uomo nero” tra le cose migliori che
possano essere state concepite in ambito letterario, ci metto De Andrè, Paolo
Conte, che sono artisti che non si fermano alla dimensione palcoscenico-festivaliero,
ma vanno molto al di là; ci metto gli chansonnier francesi, quali Léo Ferré che negli anni
’60-’70 ritengo non avvesse niente da invidiare a grandi letterati. Ho voluto
scomodare questa parte della canzone d’autore perché ritengo che Francesco Foti
abbia le carte in regola per poterne far parte. Anche il suo approccio con la
macchina da scrivere, la Olivetti Lettera 44, mi sembra “rivoluzionario”;
ritengo che le cose rivoluzionarie siano le più immediate, le più semplici. Per
rifarmi agli autori di quand’ero giovane, considero un testo altamente
rivoluzionario quello di Luigi Tenco, uno dei più grandi cantautori italiani,
cito: “mi sono innamorato di te / perché non avevo niente da fare”;
apparentemente semplice e banale, è invece un atto rivoluzionario se
commisurato alla proposta musicale che proveniva dai Festival di Sanremo e dai
Cantagiro. Il mio augurio, fatto a Francesco Foti, ma indirettamente fatto a
noi ascoltatori, è che al più presto si possa ascoltare l’intero album
all’interno del quale ci saranno sicuramente splendide fiabe di cui “L’uomo
nero” è un primo assaggio”.
Mario Grasso - “Dire bene di Francesco, dato che lo conosco da più
di un decennio, sarebbe un surplus. L’utilizzo della macchina da
scrivere di Francesco mi ha fatto pensare a: “La Polacca”, le cannonate di
Napoleone che si ripetono nel rollìo di ottave, Strauss andando con il
cocchiere in carrozza, i passi del cavallo e lo schioccare della frusta nei
suoi valzer. Se Newton fosse nato in una taverna di ladri albanesi, non si sarebbe
occupato di gravitazione universale, ma essendo inventore nell’animo, avrebbe
comunque inventanto un nuovo tipo di grimaldello. Elogio il fatto che Francesco
abbia scritto “L’uomo nero” in un momento particolare, attingendo da quello che
era uno dei temi più attuali e sentiti (e purtroppo del resto lo è tuttora),
come quello della pedofilia. Questa influenza inconscia di temi “scottanti” che
saltano alla ribalta attraverso i media ma anche il semplice ritorvarsi a
parlarne, si tramutano nelle sue parole e musica, come nel caso de “L’amore è
amore” (cfr. collaborazione con Alessandro Canino) nel quale in un’epoca di
rivoluzioni per quanto riguarda i rapporti omosessuali che vedono
l’affermazione come “normalità”, com’è giusto che sia, nonostante i nostri
antenati ci avessero già preceduto, mi riferisco ai greci. Sottolineo come
spesso uno dei mali della nostra società “ironicamente” siano “il sapere” ed
“il pensare” insieme. Francesco è una mina vagante, potrebbe esplodere in
qualsiasi momento e nello stesso tempo rinnovarsi in qualsiasi pezzo resti di
lui. Francesco è, come ciascuno di noi, una entità irripetibile, e nella sua
irripetibilità ha le caratteristiche che lo portano oggi qui ad essere
festeggiato, ma festeggiato scaramanticamente, senza completare il quadro, non
ponendo limiti al futuro. Mi auguro di poterlo presto applaudire altrove, in
uno dei miei luoghi preferiti dei miei viaggi, quali Mosca, Parigi, Berlino,
lasciando un segno duraturo nell’arte che è qualcosa di intramontabile.
Biografia Francesco Foti
nato a Giarre (CT) il 28-9-1979. Ha pubblicato (entrambe prefate da Mario
Grasso) due sillogi di poesie in dialetto etneo: Afotismi, ed. Prova
d'Autore (2009) e Jettu uci senza vuci, ed. Prova d'Autore (2012). È
socio del Gruppo Letterario Convergenze con quale svolge un'intensa
attività culturale in tutta la Sicilia e vanta diverse pubblicazioni. Ha
ottenuto diversi riconoscimenti a livello nazionale. Ha firmato, insieme ad
Alessandro Canino e Rossano Eleuteri, le canzoni "L'amore è amore"
e "Sarai", presenti nell'album "Io" di
Alessandro Canino, edizioni ROS group, distr. Self, in uscita il 4 giugno 2013.
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