mercoledì 4 marzo 2015

Peter Stein rilegge “Il ritorno a casa” di Harold Pinter

 
 
Abisso animalesco o fonte di tenerezza? Legami ipocriti ed incancreniti o catene d’affetto e di dolcezza? Cos’è in realtà la famiglia? Si pone questi interrogativi “Il ritorno a casa”, dramma, caustico e feroce, del geniale drammaturgo inglese Harold Pinter, premio Nobel per la Letteratura nel 2005.

Ospite del Teatro Stabile di Catania, diretto da Giuseppe Dipasquale, lo spettacolo è proposto nella versione del regista tedesco Peter Stein, maestro del panorama teatrale europeo, che sceglie il suo cast di qualità da un altro suo capolavoro, “I Demoni”, maratona scenica durata dodici ore. Si tratta di Paolo Graziosi, Alessandro Averone, Elia Schilton, Antonio Tintis e Andrea Nicolini, a cui si è aggiunta l’unica donna, Arianna Scommegna.

Proposto nella traduzione di Alessandra Serra, la pièce sarà sul palco alla sala Verga, dal 4 all’8 marzo, ed è frutto di un’efficace coproduzione, realizzata tra il Teatro Metastasio Stabile della Toscana e “Spoleto56 Festival dei 2Mondi”. La scenografia è firmata da Ferdinand Woegerbauer, i costumi da Anna Maria Heinreich, le luci da Roberto Innocenti.

Fattore scatenante di tanta aggressività compulsiva sarà il ritorno a casa, dopo anni di lontananza, di Teddy, un figlio diventato docente universitario in Usa, portando con sé la moglie Ruth, unico elemento femminile in un universo di soli uomini, formato dal padre e dei fratelli di lui.

L’arrivo avrà effetti sconvolgenti e per certi versi inaspettati: accolta come elemento estraneo verso cui sfogare la propria misoginia, Ruth viene accettata e inserita in un gioco al massacro in cui appare allo stesso tempo come vittima e carnefice: sarà il marito Teddy ad andarsene da solo. L’immagine finale mostra la donna imponente, con gli uomini frignanti e anelanti ai suoi piedi e nessuno sulla scena e nell’uditorio saprà quello che può accadere. Come sempre nei finali di Pinter tutto rimane aperto…

Scritto nel 1964, “Il ritorno a casa” è uno dei primi testi della maturità artistica dell’autore inglese, che aveva già creato capolavori del teatro dell’assurdo. Praticamente quasi un traguardo per Peter Stein che racconta: «Sin da quando ho visto la prima londinese, quasi 50 anni fa, ho desiderato mettere in scena “Il ritorno a casa”. È forse il lavoro più cupo di Pinter, che tratta dei profondi pericoli insiti nelle relazioni umane e soprattutto nel rapporto precario tra i sessi. La giungla nella quale si combatte è, naturalmente, la famiglia. I comportamenti formali, più o meno stabili si tramutano in aggressività fatale e violenza sessuale. Tutte le ossessioni maschili in questa famiglia di serpenti si proiettano sull’unica donna presente. Nelle fantasie degli uomini, e nel loro comportamento, viene trasformata in puttana e non le rimane che la possibilità della vendetta, assumendo quel ruolo e soddisfacendo la loro bramosia più del previsto. La famiglia comporta logiche dei quali non si discute, non si può discutere, perché i rapporti contemplano aspetti naturali ma quasi “animaleschi”, dei quali è difficile anche solo parlare...»

Pinter, tra i più complessi e originali scrittori teatrali della sua generazione, nelle sue opere ricerca situazioni psicologiche che hanno come temi la coesistenza nella medesima persona di violenza e sensibilità, o il mistero dell’animo femminile. Sono lavori in cui l’intreccio è talvolta quasi assente e lo svolgimento è affidato al dialogo, con cui egli sa creare intense atmosfere. “Nelle sue commedie scopre il baratro che sta sotto i discorsi di tutti i giorni e spinge ad entrare nelle stanze chiuse dell’oppressione” è, infatti, e non a caso, la motivazione con cui gli venne assegnato dall’Accademia di Svezia il premio più ambito.

«L’iniziativa di questo allestimento è partita dai membri del cast de "I Demoni" che era abituato ad un lavoro di stretta interazione - continua a rivelare il regista- Durante il dramma si scorge che il malessere reciproco dei protagonisti li fa soffrire tutti, ma nello stesso tempo è ciò che li tiene uniti, insieme. L’elemento davvero conclusivo, l’uscita drammatica da quel groviglio, è solo in quella vistosa abdicazione dei maschi rispetto all’unica donna. D’altra parte, anche se pieni di caratteri insopportabili, quei personaggi sono nello stesso tempo anche commoventi. Penso proprio che Pinter abbia preso questa caratteristica da Cechov: anche lì i personaggi sono sempre degli illusi e velleitari, quasi patetici, ma è impossibile non commuoversi per loro, e per i loro irrealizzabili desideri».

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